Danza Contemporanea

27.04.2013 22:19

    Danza contemporanea        

 

DALLA DANZA TEDESCA DEL 1° NOVECENTO AL TANZTHEATER DI PINA BAUSCH

 

Tanztheater e Pina Bausch Tanztheater.

Non è facile analizzare una delle più interessanti ed innovative manifestazioni artistiche della cultura europea contemporanea. La difficoltà riguarda in primo luogo la scelta degli strumenti critici: ci verranno in aiuto la teoria e l'esperienza teatrale o dovremo rivolgerci alle più specifiche convenzioni della danza e del balletto? In secondo luogo, è necessario ripercorrere la storia della cultura europea (e più specificatamente della cultura tedesca) per individuare le fortissime influenze ed anche i decisivi punti di rottura con la tradizione del passato. In questa sede prenderemo in esame in maniera più dettagliata il pensiero artistico e la metodologia di lavoro di colei che consideriamo indubbiamente la figura più interessante del Teatrodanza tedesco: Pina Bausch.

La rivoluzione artistica e sociale del '900.

I primi anni del '900 sono testimoni di una rottura radicale nel pensiero filosofico, che abbandona la fiducia positivistica e razionalista ed intraprende un inedito viaggio nei dintorni dell'uomo e della conoscenza. Il sapere diviene sempre più articolato ed è la scienza stessa a sganciarsi dalle sue premesse positivistiche ed a riflettere sui propri fondamenti. La teoria della relatività di Albert Einstein rovescia le più antiche categorie dello spazio e del tempo e le ipotesi di Sigmund Freud porteranno alla ribalta l'inconscio e le sue manifestazioni. Nel campo più strettamente artistico questa nuova visione dell'uomo e del senso stesso dell'esistenza, provocherà una rottura radicale con il passato e con la tradizione. Una rivoluzione, insomma, che porta all'estremo l'opposizione tra esperienza artistica e società borghese già riscontrata nel corso dell'Ottocento. Si ha una frattura totale nelle forme della comunicazione estetica portata avanti da quelle che verranno definite "avanguardie storiche", che interverranno in maniera "militante" con l'intento di infrangere le barriere della tradizione e quelle assai più minacciose che si interpongono fra l'uomo e la società. Questo clima fortemente rivoluzionario e "liberatorio" permea tutte le forme culturali ed è particolarmente presente nell'ambito della cultura tedesca, stimolando soprattutto l'entusiasmo giovanile.

La riscoperta del corpo ed il körperseele.

Alle origini del processo di riscoperta del corpo vi è il contributo della Jugendbewegung, il Movimento Giovanile Tedesco. Gli studenti borghesi di fine secolo si ribellano alla società dei padri ed ai suoi modelli di vita stereotipati e soffocanti; la ricerca di una purezza originaria si concentra in un rapporto panico con la natura ed il mai dimenticato interesse tedesco per la classicità, alimenta la volontà di riscoperta del corpo ed evidenzia la sua funzione di specchio dell'anima. Il corpo diviene così il privilegiato punto d'incontro fra nascente psicanalisi, filosofia e dottrine esoteriche, le quali predicavano la necessaria unione dell'uomo con le forze cosmiche. Tramite di questo incontro metafisico è il ritmo, ossia il principio regolatore dell'universo e del movimento umano. E' naturale che in un clima così denso di significati che vanno oltre la semplice materialità, il concetto di esercitazione (o meglio "educazione") corporea muti radicalmente. Mentre in passato gli esercizi ginnici erano determinati da finalità che riguardavano unicamente il raggiungimento della prestanza fisica, nella körperkultur i nuovi metodi si baseranno su uno sviluppo congiunto fra corpo e psiche e avranno come intento l'educazione al ritmo ed al gesto armonico. In un frangente culturale dove il corpo ed il movimento divengono espressione dominante e simboli di una volontà di rinnovamento totale, è concepibile il ruolo preminente svolto dalla danza, e l'interesse che susciterà sia negli intellettuali sia a livello più popolare. E' ovvio che per fare ciò il concetto di danza si sia dovuto trasformare, prendendo le distanze dalle strutture costrittive del balletto, dai suoi codici e persino dal suo abbigliamento. Le nuove tensioni culturali predicano l'assoluta libertà ed il ripudio della tradizione; cercano, quindi, non la formalità di una composizione classica, ma la spinta liberatoria del movimento e la libertà del corpo. Sta nascendo la "danza libera".

I teorici della danza.

Con il termine "danza libera" si indica quella volontà, nata all'inizio del secolo, di vivere la danza come arte assoluta. La Germania stava vivendo un periodo di rinnovamento culturale, una ricerca del nuovo che spingeva in direzione di un'arte "totale" e di cui il teatro sarà quasi l'immagine-contenitore. Sarà infatti al teatro che si rivolgeranno gli artisti e gli intellettuali di tutti i campi . E' come se con l'apertura del secolo si manifestasse un'ansia del nuovo che si manifesta in ogni aspetto culturale: l'Art Nouveau diviene il principio regolatore della ricerca estetica. In un clima di attese culturali così attento alla novità e ad ogni tipo di manifestazione che rompesse con la tradizione, la prima esibizione di Isadora Duncan (avvenuta nel 1902) provocherà reazioni di assoluto entusiasmo. E' infatti innegabile l'impatto della danzatrice americana sulla danza europea; ella non solo diverrà l'emblema della danza libera "al femminile", ma stimolerà concretamente il rinnovamento in Russia che con il balletto di Djaghilev raggiungerà il suo apice artistico ed estetico. La Duncan importa con sé un influsso teorico particolarmente importante nello sviluppo della Körperkultur: il "sistema di estetica applicata" del francese François Delsarte. La sua filosofia considerava l'uomo come un'unità trinitaria inscindibile di corpo-anima-intelletto e correlava le sue manifestazioni espressive all'attività interiore delle sensazioni. Sorte singolare ebbe il suo insegnamento: nato con intento pedagogico per attori ed oratori, diverrà invece fondamentale nella danza americana e da lì ritornerà in Europa ad inizio secolo, filtrato appunto dalle idee delle "danzatrici pioniere". Non è solo nell'opera di Delsarte che vanno individuati i prodromi di una teoria sulla danza moderna, diviene quindi necessario focalizzare l'attenzione su due figure fondamentali che avranno un peso determinante sul teatro della loro epoca: Emile Jaques-Dalcroze e Rudolf Laban de Varalja.

Rudolf Laban, la danza pura.

Ma in quegli stessi anni prende l'avvio un'altra sperimentazione profondamente legata alla danza, che darà i "natali culturali" a quelli che saranno i due più importanti coreografi dell'Ausdruckstanz. L'ungherese Rudolf Laban, uomo notevolmente portato alle attività artistiche, venuto in contatto con la cultura tedesca e soprattutto con le teorie di Georg Fuchs, dedicherà la sua opera all'espressione del corpo ed a quella che verrà definita "danza libera". Se per Dalcroze era stata fondamentale la collaborazione con Appia , uomo di teatro, la stessa importanza assume l'incontro (seppure ideale) tra von Laban e Fuchs. Laban conosce e studia le opere di Fuchs e viene fortemente colpito dalla sua idea (di diretta influenza nietzscheiana) di danza come arte che si realizza in uno stato dionisiaco di profonda estasi orgiastica. Partendo da queste basi Laban edifica il suo lavoro alla ricerca di una nuova forma di danza pura, non descrittiva e profonda. Nella prima fase del suo lavoro, che si svolge a Monaco (capitale culturale in cui si manifestano nuove tendenze artistiche dominate dall'esoterismo e da impulsi accentuatamente psicologici), egli afferma il legame esistente tra Tan-Ton-Wort intesi come unità coreutica. In questo primo periodo fonda una comunità a Monte Verità, una sorta di scuola-colonia, a cui partecipano tutti i rappresentanti della "controcultura" del tempo. Mentre Laban si dedicherà ai suoi studi teorici, la sua allieva più famosa, Mary Wigman, porterà avanti una ricerca più pratica sul movimento e sulla danza. Nel 1920 Laban pubblica la "Coreosofia", cioè la filosofia della danza, testo fondamentale dell'Ausdruckstanz. Tesi centrale del suo pensiero era che l'uomo fosse in contatto con natura e cosmo attraverso il proprio corpo e che questo legame fosse stato spezzato nella società industriale. Per ritrovarlo era necessario scoprire la potenza del gesto che, svolto secondo le regole dell'armonia, diviene danza. Ad Amburgo, negli anni '20, dopo aver creato la Tanzbühne Laban, il suo lavoro si colora di un accentuato espressionismo legato ad una matrice di surrealismo, ed è da considerarsi il suo periodo più fecondo. Egli anticiperà delle intuizioni che si stanno tuttora realizzando. Il suo lavoro segue tre direzioni: da una parte un teatro di "danza da camera" dove vengono esaltate le qualità della danza come arte totale; dall'altra parte produce un genere "corale" che prevede manifestazioni in spazi più vasti del palcoscenico teatrale; poi un teatro "totale" in cui si realizzi la predicata unità Tanz-Ton-Wort. Inoltre affronterà la problematica dell'annotazione coreografica e nel 1928 si avrà la definitiva concezione del sistema di annotazione in "Kinetographie". Due anni dopo porterà la sua firma il baccanale del "Tannhäuser" al Festival di Bayreuth. Successivamente gli eventi storici e l'imminenza della guerra lo costrinsero ad emigrare in Inghilterra. Dalcroze e von Laban furono i teorici e i ricercatori che influirono in maniera più decisiva e nell'ambito della Körperkultur e in quello più vasto del teatro. La loro opera è animata da una profonda connessione fra aspetti etici ed aspetti estetici ed il loro pensiero si tradurrà in teatro con poetiche coerenti e fondamentali. Alla proposta di Dalcroze è correlata un'idea di teatro di regia, laddove egli fu promotore di un principio ordinatore unitario che regoli l'opera teatrale; alla proposta di Laban è invece correlata un'idea di teatro vicina all'avanguardia, essendo egli sostenitore di una rifondazione dell'espressione in un'opera unitaria e collettiva.

L'Ausdruckstanz.

E' importante ripercorrere le vicende della storia della danza tedesca per comprendere il significato e l'estetica del contemporaneo Tanztheater, individuando i punti di rottura con la tradizione precedente ed i momenti di continuità "sotterranea" che lega le due manifestazioni artistiche, nonostante la brusca interruzione della guerra e le sue conseguenze soprattutto a livello ideologico. L'espressionismo è sicuramente la matrice da evidenziare nell'esperienza prebellica della danza tedesca. Nel manuale del Ferroni si legge la seguente definizione: "non costituisce un gruppo specifico, ma un orizzonte generale, dagli aspetti molteplici, che opera una rottura dei canoni tradizionali della rappresentazione, alla ricerca di una espressione di realtà profonde, in una fortissima tensione spirituale." La danza espressionista tedesca si rivolge, quindi, alla ricerca di nuove modalità espressive contro un estetismo fine a se stesso. E nella danza confluiranno gli interessi e le ricerche di gran parte degli intellettuali dell'avanguardia. E' interessante evidenziare come proprio la danza divenga il fertile terreno per le sperimentazioni degli artisti più diversi.

La danza e gli artisti.

Saranno infatti i suggerimenti del dadaismo e le ricerche di Kandinsky che influenzeranno notevolmente, per esempio, la danza espressionista di Mary Wigman. La rivolta dell'individuo si manifesta nella ricerca dell'uomo originario e l'elaborazione estetica guarda alle forme d'arte primitive, popolari contro la tradizione colta. Tutto ciò che è orpello o decorazione ai fini del semplice piacere dell'occhio, viene eliminato in favore di forme d'espressione più semplici e dirette. Kandinsky ci offre, per esempio, un esperimento coreografico in cui la danza si basa essenzialmente su principi ritmici ed i danzatori hanno il volto coperto da maschere. Quindi la musica, intesa come struttura portante del balletto, viene eliminata in favore di cadenze che richiamano più direttamente i ritmi interiori dell'essere umano; la maschera, lungi da essere un fattore di occultamento della personalità, diviene lo strumento di rivelazione delle forze dell'inconscio. E' estremamente importante come in " Suono giallo" Kandinsky sottolinei le due possibilità espressive del movimento: da una parte esso appare meccanico ed astratto (simbolo della condizione umana in una società reificatrice) e dall'altra sottolinea lo sforzo di recupero di un movimento naturale, libero dagli schemi delle convenzioni. Il lavoro che egli effettua sullo spazio è fondamentale poiché ritornerà nella "poetica" della Wigman. Nasce infatti un'antitesi fra il corpo del ballerino e lo spazio tridimensionale che gli è attorno e la coreografia viene a basarsi su di un rapporto di duro e straziante antagonismo fra i due elementi.

Lo spazio teatrale.

E' opportuno, in questo frangente, ricordare un nome maggiormente legato a quello di Kandinsky allo specifico teatrale: quello di Oskar Schlemmer. Resasi ormai evidente la frattura fra l'uomo e la società, o meglio, venuta meno la fiducia sulla realtà esterna, Schlemmer auspica la possibilità di una riconciliazione che può avvenire solo nell'ambito del "Teatro Totale". Questo concetto, che diventa il fil rouge nella sperimentazione teatrale di tutto il Novecento (si parlerà di teatro totale per le opere di Pina Bausch), si riferisce alla creazione di una struttura unitaria in cui sia possibile ricomporre il dissidio che oppone l'io agli altri. Nel rapporto problematico fra uomo e spazio, il ballerino diviene il tramite, il punto d'incontro grazie alla sua predisposizione a superare i limiti fisici, propri della sua condizione umana e potenziare l'essenza matematica che è in lui e che lo collega allo spazio. Nel 1922 elabora, nel contesto del Bauhaus, il " Triadisches Ballet ", cioè una coreografia basata su di una struttura trinitaria in cui le tre sezioni sono caratterizzate ognuna da un colore corrispondente a tre diversi stati d'animo. Importante è lo studio effettuato sul corpo umano e sul suo movimento nello spazio. I tre ballerini, che sul palco disegnano figure geometriche circolari od a spirale, muovendosi secondo i principi dell'euritmica di Dalcroze, sono vestiti con costumi di cartapesta estremamente stilizzati e basati sulle figure del cerchio e del cono. Il palcoscenico è diviso a scacchiera e nell'unione fra il quadrato ed il cerchio (dato dai movimenti dei danzatori) Schlemmer idealizza il rapporto tra divino ed umano. L'impersonalità da marionetta ottenuta dai movimenti dei suoi ballerini, ed affiancata dalla struttura scenografica, è il tentativo di liberare la danza da ogni affettazione sentimentale e di ricercare una unità originaria. Dopo gli anni Venti la corrente espressionista subisce una scissione da cui prenderanno il via due diverse strade: da una parte viene portato avanti il discorso di Kandinsky e Schlemmer sulla forma e le corrispondenze cosmiche, dall'altra ci si avvicina ad una forma teatrale di impegno sociale con carattere politico, cioè la grande era del teatro di Brecht e Piscator.

Mary Wigman e Kurt Joos, gli espressionisti.

Ma è necessario tornare al discorso più strettamente specifico della danza espressionista e ai due coreografi che la rappresentano. Mary Wigman e Kurt Jooss. Due personalità differenti, due tendenze feconde e ricche di stimoli all'interno di una stessa corrente, tanto che per la prima si è parlato di espressionismo figurativo e per il secondo di essenzialismo. Mary Wigman è la più illustre allieva di Rudolf Laban e ben presto divenne sua assistente. Ella infatti si occupava della applicazione pratica degli insegnamenti del suo maestro, ed è senza dubbio il simbolo di ciò che fu la danza libera. Danza "senza freni", il cui intento era quello di infrangere le barriere costrittive entro cui la società ci barrica, una danza in cui fosse possibile manifestare la propria interiorità, il mondo che ci popola l'inconscio. Ma non bisogna per questo immaginare che la danza della Wigman fosse qualcosa di gioioso ed esaltante oppure simile alla volontà di liberazione orgiastica predicata da Nietzsche. Il suo mondo interiore è popolato da visioni agghiaccianti, fantasmi ed angosce che sono il chiaro riflesso di una situazione storica senza speranza. La Wigman non dimentica nella danza le sofferenze terrene, anzi è la danza stessa che diviene il luogo in cui esplodono i problemi di una gioventù delusa dal crollo dei valori e sconvolta dalla guerra. La sua tendenza anti-soggettiva, coadiuvata dall'uso della maschera, esprime quella che è l'universalità dell'umano e la sua condizione estremamente materiale. Le sue esecuzioni sono tipiche dello stile dell'Ausdruckstanz. Si scaglia con la sua danza accanita e spesso silenziosa, contro le apparenze eteree del balletto classico. La concretezza terrena e soprattutto il contatto con il suolo diventano fondamentali. Laddove la ballerina classica si erge sulle punte per sfuggire alla sua condizione terrestre e con i suoi eterei grand-jeté aspira al cielo, Mary Wigman ribadisce la nostra condizione profondamente terrestre ed il nostro indissolubile legame con il suolo. La forte emotività delle sue esecuzioni nasce proprio dall'uso drammatico del corpo e della sua energia; il movimento è ricco di salti e cadute, di contrasti di direzione, di gesti spezzati e disequilibri, una continua aderenza alla terra a cui si cerca di sfuggire con improvvisi movimenti verso l'alto, terra a cui sempre si ritorna. Questo tipo di movimento è l'espressione pratica del principio generale di flusso e riflusso dell'energia appreso da Laban. Concetto che , contemporaneamente, Martha Graham definisce contraction-release e che diverrà il fondamento della danza moderna. Il concetto di movimento viene ampliato, e diventa l'unico strumento di espressione drammatica, liberato da musiche o da orpelli. La danza diviene quindi, per la Wigman, non più una storia da raccontare, ma un mito rivelatore. I suoi insegnamenti vengono approfonditi in una scuola da lei stessa fondata, che sarà costretta alla chiusura dall'avvento del nazismo. Nonostante ciò la sua influenza giungerà sino in America. Kurt Jooss è una figura particolarmente importante nel panorama della danza contemporanea, poiché a lui risale l'attuale Tanztheater, essendo state sue allieve le tre massime esponenti della rinascita coreografica tedesca. Secondo Jooss alla base del lavoro coreografico deve esserci una sintesi significativa delle idee e dei sentimenti, ma perché ciò avvenga è necessario partire da un nucleo, cioè un messaggio da comunicare. E' quello che lui chiama essenzialismo, che poi è il termine con cui si definisce il suo stile. La sua danza si presenta palesemente come teatro, poiché la coreografia deve essere soprattutto espressione di un'epoca, rappresentare verità profonde. La tecnica dell'accademismo deve essere utilizzata come base, eliminando i formalismi di funzione estetizzante e le sovrastrutture virtuosistiche: in questo senso il suo stile si pone come solido ponte tra il balletto accademico e la danza libera. Esempio prezioso della sua tecnica è la coreografia "Tavolo verde", una danza della morte, come lui stesso volle definirla. Con la massima semplicità scenografica e coreografica ci presenta un balletto incisivo, politico, dove la denuncia della guerra e degli intrighi politici è l'asse portante di un messaggio aspro, con una sottile vena caricaturale. Individui-fantocci decidono la sorte altrui intorno ad un tavolo verde, e la morte compare in scena sottoforma di un gigante che si muove meccanicamente. Si evidenziano i temi fondamentali della dottrina di Jooss: l'appassionata tensione verso la protesta sociale, la denuncia di una condizione umana dolorosa ed oscura, la negazione del bello fine a se stesso. Temi riconoscibili nell'opera della sua allieva più famosa ed importante, Pina Bausch.

Dall'Ausdruckstanz al tanztheater degli anni settanta.

Nessun fenomeno artistico è suscettibile di uno sradicamento dal contesto storico e sociale in cui si sviluppa. La storia tedesca del dopoguerra è caratterizzata da una volontà di occultamento del recente passato, in tutte le sue manifestazioni, comprese quelle artistiche. Soprattutto quando queste coinvolgono aspetti marcatamente politici come è avvenuto con l'espressionismo e l'Ausdruckstanz. Gli anni Venti sono dominati da forze giovanili che impongono la loro nuova visione del mondo ed in una situazione di latitanza dello stato e di manifesta volontà di rottura con la tradizione, diviene facile manipolare gli entusiasmi. Fu così che la concezione dell'Ausdruckstanz venne travisata ed utilizzata da precise volontà politiche. Il predicato mutamento della società e la forte tensione verso il concetto del Volk, quindi l'identificazione dell'individuo in una comunità "originaria" e giusta, saranno i concetti-chiave su cui il nazismo opererà per riscuotere l'approvazione della sua gente. Le grandi coreografie di massa rimarranno purtroppo, nella coscienza collettiva, il ricordo di cerimonie evocative del potere del nazismo.

La danza tedesca nel dopoguerra.

La storia della danza tedesca risulta bruscamente interrotta nel dopoguerra, con un ritorno alla tradizione accademica. Si trova rifugio in una espressione artistica considerata a-politica o almeno sgombera da immediate connotazioni ideologiche. Ma la cultura di un popolo non si può sopprimere con l'indifferenza ed un filone sotterraneo di influenze giungerà sino agli anni Sessanta, momento in cui si registra un rinnovamento culturale che investe i campi più svariati: dal nuovo cinema, con la leva di giovani autori come Wenders, Fassbinder, la Von Trotta , alla musica e alle arti figurative sino alla danza. L'arte si fonde con le tematiche politiche, con gli sviluppi della semiotica, della sociologia e della psicologia. L'arte incomincia il suo cammino nel quotidiano, nelle problematiche sociali e dalle dispute politico-teatrali emerge una nuova figura: il regista-creatore o il coreografo-autore. Negli anni Sessanta artisti ed intellettuali operano nel senso di un recupero critico dell'eredità storica dell'avanguardia e si manifesta una precisa volontà di fusione degli strumenti del teatro con quelli della danza. L'arte in genere tende verso la "messa in scena", con un notevole scambio tra teatro ed arti visive e la rivoluzionaria esperienza sia di Grotowsky che del Living Theatre, impone il corpo come veicolo privilegiato della comunicazione, contro il primato della parola. Quindi la contaminazione degli specifici artistici e la riscoperta di un linguaggio del corpo, collegano immediatamente le nuove esperienze con quelle dell'avanguardia prebellica.

La nascita del Tanztheater: i primi anni.

Ma saranno gli anni Settanta a vedere la nascita del Tanztheater. Fenomeno complesso e strettamente connesso alle vicende dell'Ausdruckstanz, tanto che per definirlo è stato coniato il termine di neoespressionismo, per sottolineare soprattutto la grande influenza di Kurt Jooss sul fenomeno. Se tale definizione appare storicamente giustificata, è necessario però tenere conto delle dense e stratificate suggestioni estetiche ed artistiche che permeano il mondo culturale tedesco degli anni Settanta. La ricerca sulla danza tiene conto in modo determinante dei contemporanei sviluppi americani, della massiccia presenza dei mezzi audiovisivi e di un loro possibile utilizzo e soprattutto di tematiche esistenziali che hanno connotati profondamente diversi da quelle di inizio secolo. Parlare di neoespressionismo non deve significare un'etichetta posta su un fenomeno che è impossibile definire univocamente, ma è più che altro un'indicazione tesa ad apparentare le varie forme espressive del tanztheater ad una origine comune. La prima tappa di sviluppo del Tanztheater risale al periodo compreso tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta, quando coreografi di diversa estrazione assumono la direzione della danza nei teatri pubblici di differenti città. Fenomeno che è giustificabile con un discorso di carattere fondamentalmente economico. La Germania si trova in un periodo di accentuata difficoltà economica e naturalmente i primi tagli sulle spese coinvolgono il mondo della cultura e dello spettacolo. Gli imprenditori teatrali non possono permettersi gli stipendi di un intero corpo di balletto classico e dell'allestimento scenografico necessario, quindi le ridotte dimensioni delle nuove compagnie divengono un ottimo motivo d'assunzione. Sono poche le testimonianze riguardo i primissimi anni della "avventura" del Tanztheater, gli esordi sono caratterizzati da un potenziale d'innovazione estetica e da una grande disponibilità verso la sperimentazione. Ma ciò che garantisce la sua originalità come fenomeno culturale, è la diversa provenienza dei coreografi, che definisce la poliedricità stilistica come elemento costitutivo. I cinque antesignani - Pina Bausch, Susanne Linke, Reinhild Hoffmann, Hans Kresnik e Gerard Bonher - provengono da tradizioni differenti che si innestano su di una comune volontà di ricerca di nuovi contenuti e di opposizione nei confronti del balletto classico. Si parlerà di un "superamento dei limiti" operato dai coreografi del Tanztheater in direzione dello Sprechtheater e della sperimentazione che porterà la danza all'unione con i nuovi stimoli provenienti dall'happening, dalla performance art e dall'incontro con i media. La nostra analisi si soffermerà su colei che è considerata il "personaggio-guida" dell'avanguardia coreografico-teatrale degli anni Settanta ed Ottanta. PINA BAUSCH è indubbiamente l'esponente di punta dell'odierno Tanztheater e la sua opera ha raggiunto una maturità che permette un'analisi esaustivamente approfondita del suo pensiero e delle tematiche ricorrenti.

Pina Bausch o la "danza negata".

Appare estremamente difficile coniare una definizione da applicare allo stile ed all'opera della Bausch. Sono stati evidenziati precedentemente i rapporti con la scuola e l'esperienza di Kurt Jooss, spesso sono stati fatti dalla critica i nomi di due grandi registi come Fellini e Bob Wilson , da una parte per la forte vena surrealista del suo lavoro e dall'altra per un uso particolare dello spazio. Ma è un continuo gioco di citazioni, di rimandi che non definiscono un genere in particolare. Ed è la stessa regista-coreografa che rifiuta di darsi una definizione ed ammette di non distinguere nel suo lavoro tra gli strumenti della danza, del teatro o della musica. Il suo teatro-totale fonde i linguaggi e gli stili investendoli di una carica visionaria insita nella parola e servendosi contemporaneamente del potere suggestivo del gesto e della musica. Allora perché si parla di "danza negata" ? Perché nel lavoro della Bausch c'è una negazione, un rifiuto della tradizione o meglio della funzione tradizionale della danza. Essa viene citata sempre con una sorta di nostalgia, come immagine estrema, archetipo estinto in cui si riflette la consapevolezza di una distanza. Pina Bausch nasce a Solingen nel 1940, in un ambiente famigliare non particolarmente attento ai richiami dell'arte. Pina conoscerà la danza facendo parte della scuola di balletto per bambini, istituto che organizzava modesti intrattenimenti teatrali ed a cui sarà introdotta da amici di famiglia. A quindici anni, terminate le scuole, ella deve decidere del suo futuro e ,come afferma in un'intervista, l'unica cosa che sapeva fare o che almeno conosceva era la danza. Supera l'esame e viene ammessa alla Folkwang-schule di Kurt Jooss, che frequenterà per quattro anni. In seguito, vinta una borsa di studio per New York, ella intraprenderà i primi passi come ballerina professionista con il New American Ballet e con l'ensemble della Metropolitan Opera. Quindi la sua formazione professionale avviene su di un terreno assolutamente classico e tradizionale. Tornata nel 1962 in Germania ed entrata a far parte del Folkwang-Ballet, fondato da Jooss in quel periodo, la Bausch pur lavorando intensamente si sentirà insoddisfatta del suo ruolo di ballerina. La sua prima coreografia nasce dal desiderio di fare qualcosa di nuovo, per se stessa e per la sua voglia di danzare. Così nel 1968 crea "Fragment" (Frammenti) e nello stesso anno realizza "Im Wind der Zeit" (Nel vento del tempo) che presenta al concorso per giovani coreografi di Colonia, vincendo il primo premio. La coreografia è strettamente imparentata al linguaggio tradizionale della modern dance, sebbene la costruzione dei corpi nello spazio anticipi l'uso che farà di esso nelle seguenti opere. Elemento essenziale, lo spazio nei primi lavori è spesso delimitato, in una stanza o in un ambiente precisato, fino ad identificarsi nelle opere successive sempre più col palcoscenico preso nella sua interezza e contrassegnato da oggetti tipici di riunioni comunitarie: poltrone, tavolini, sedie. Nel frattempo Hans Zullig, succeduto a Jooss nella direzione della Folkwang-schule, affida alla giovane coreografa la direzione artistica del Folkwang-Tanz-studio, cioè il corpo di ballo che collabora strettamente con la scuola. Già da questo momento si evidenzia un cambiamento nel registro coreografico della Bausch. Se un anno prima il repertorio della modern dance aveva assicurato il suo successo a Colonia, nella nuova coreografia ella sembra aver abbandonato la fiducia nel metodo tradizionale. In "Nachnull" presenta cinque danzatrici dall'aspetto scheletrico che con movimenti spezzati, stanchi, apparentemente privi di una struttura interna, eseguono una spaventosa danza macabra. Nel 1971 si svolge a Wuppertal il festival "Urbs" ed il pezzo "Aktionen fur Tanzer" (Azioni per danzatori), viene interpretato da due coreografi: Ivan Sertic e Pina Bausch. La sua coreografia, della durata di ventiquattro minuti, è priva di trama, ma è costruita su un insieme di trovate sceniche che la rendono assolutamente innovativa ed originale. Ella ha intrapreso il suo cammino verso la destrutturazione delle tecniche modern e classiche -i ballerini si muovono con gli arti contorti, inciampano sul palco ridendo a crepapelle- e la volontà di avvicinamento alla tecnica teatrale è ormai palese. L'anno seguente le viene affidato il compito di coreografare il Baccanale del Tannhäuser in cartellone a Wuppertal. Il risultato fu talmente eccellente da essere considerato dai critici come la scena più importante di tutta la rappresentazione; l'esperienza della coreografa era giunta ad una maturità tale da farle accettare l'incarico offertole insistentemente da Wunsterhofer. Con l'inizio della stagione 1973-1974 Pina Bausch assume la direzione del balletto del teatro di Wuppertal.

La direzione del teatro di Wuppertal.

Inizia un periodo di ricerca di nuove possibilità espressive, con un'avvicinamento sempre più tangibile verso le forme propriamente teatrali ed una necessità di comunicazione ed indagine sulle questioni-chiave dell'esistenza umana. L'angoscia sarà la tematica più inquietante che caratterizzerà il suo lavoro ed anche il suo atteggiamento nei confronti di esso. La Bausch si interrogherà in continuazione sull'efficacia, sul senso e sul valore del suo lavoro, quasi come se non ne fosse mai soddisfatta. Ed a livello tematico l'angoscia si farà portavoce di un profondo ed incolmabile desiderio di sentirsi amati, compresi, laddove la comprensione non sembra essere una qualità tipica del mondo moderno. L'intransigenza delle domande che la coreografa pone a se stessa, ai suoi ballerini ed al pubblico intero sarà la struttura portante di tutta la sua opera; ella vuole indagare sui problemi profondi, esistenziali perché sono il male tipico della società moderna. Tutto ciò avviene senza mezzi termini; le domande sono dirette, incalzanti e spesso mettono a disagio il pubblico. Per questo motivo la danza, col suo potere sublimativo, viene frequentemente abbandonata in favore del gesto, dell'azione materiale, più diretta e straniante. Il suo esordio in veste di direttrice avviene con una coreografia molto discussa. "Fritz" è un pezzo che si contrappone alle mode dominanti ed in cui la danza si realizza in piccole eruzioni solistiche che scaturiscono da immagini congelate. Il pezzo scandaglia la psicologia del profondo di un giovane protagonista che vive ad occhi aperti sogni surrealistici. Ossessioni, follia di un mondo dell'arte in cui traspaiono quei tratti di comicità tipici dello stile della coreografa. Nel 1974 realizza la prima delle sue Tanzoper con l'allestimento di "Iphigenie auf Tauris" (Ifigenia in Tauride) per la quale, a differenza della coreografia precedente, la critica esulterà. Leonetta Bentivoglio l'ha definita come il "punto di approdo e ritorno", perché dopo diciotto anni, nel 1992, la Bausch proporrà al pubblico un riallestimento della stessa con un significato necessariamente diverso da quello della precedente.

Le due versioni dell'Ifigenia.

Nell'Ifigenia del '74 l'approccio della Bausch è assolutamente anti-classico, cioè la sua immagine dell'antichità non è quella manierata di Gluck e né quella trasfigurata ed edulcorata di Goethe. Ma probabilmente è una idea che più di tutte si avvicina alla tragedia classica, scandagliando nel profondo la mostruosità del mito degli Atridi e le visioni cupe, tragiche che esso richiama. E' un'opera sperimentale per la sua assoluta originalità, ma che non lascia interrogativi sul risultato eccelso. Tramite per descrivere l'immagine di una Grecia violenta e inedita è il lessico di una danza moderna che fonde l'esperienza di Kurt Jooss alla tecnica Graham. L'Ifigenia della Bausch si muove nel suo mondo a piedi scalzi, come fece Isadora Duncan ad inizio secolo, ed il suo legame con la terra è inesorabile; ella interpreta una lapidaria danza espressiva con una maestria senza precedenti. Ma quale è il senso nuovo della versione del '92 ? Quello che fu il manifesto dell'approdo a Wuppertal, la sua consacrazione, si tinge di significati diversi negli anni novanta. Il riallestimento non ha nulla di nostalgico, anzi è quasi una sfida della coreografa nei confronti delle aspettative del pubblico e della critica; rigetta l'applicazione di un criterio evolutivo nella sua opera, quasi nel tentativo di "spaesare" una critica sempre pronta a periodizzare, etichettare e storicizzare il lavoro dell'artista. Inoltre è un chiaro messaggio di rivalutazione del classico e della tradizione. Una tradizione che non risale però alla danza, ma alla grande epoca della tragedia greca. Iphigenie diviene uno spettacolo severo, essenziale e soprattutto atemporale, dove si esclude ogni riferimento alle tendenze di avanguardia o a quelle della moda. Diviene, quindi, un confronto coraggioso con la storia e il mito e con le origini stesse del teatro.

La nuova fase ed il capolavoro.

Tra lo spettacolo del '74 e le due Tanzoper successive, la Bausch compone un pezzo in cui compaiono per la prima volta quelle caratteristiche che saranno il tema inesauribile di tutto il suo lavoro. Nella piccola revue "Ich bring dich um die Ecke" (Ti faccio fuori), utilizza per la prima volta la musica leggera e tutti i suoi danzatori cantano motivetti degli anni Venti e Trenta ed il palcoscenico si presenta come il campo di battaglia fra i sessi. Nell'estate del 1975 allestisce la seconda opera di Gluck, "Orfeus und Eurydike" (Orfeo e Euridice) con un taglio completamente nuovo rispetto a Iphigenie. Sicuramente è da considerarsi performance più matura rispetto alla precedente, essendo anche particolarmente abile la coreografa nella rappresentazione delle immagini della morte, del lutto e del dolore, immagini che popolano il suo inconscio. La struttura è assolutamente innovativa: i cantanti narrano il dramma musicato da Gluck e partecipano all'azione sulla scena, i ballerini servono, invece, alla trasposizione del mito nel presente. L'Orpheus costituisce una fusione tra il modello classico e le scottanti tematiche contemporanee.

La Sacre du Printemps.

Nel corso di una serata dedicata a Stravinskij, la Bausch realizza la coreografia del "Sacre du printemps", il suo primo autentico capolavoro che dal '75 in poi è rimasto nel repertorio della compagnia di Wuppertal. La coreografa si discosta dalla interpretazione usuale che caricava di significato erotico il rito sacrificale; ella è interessata all'ottica di coloro che potevano essere colpiti dalla sentenza di morte e si sofferma su un'atmosfera densa di paura, di pietà e di umanità. La struttura ballettistica, limpida e rigorosa, è costruita su una puntuale lettura della partitura musicale e la danza è ancora la protagonista indiscussa della messa in scena. La protagonista femminile offre un'interpretazione accesa, sensuale, che si intreccia ad un sapiente gioco coreografico delle masse. Indubbio capolavoro la cui connotazione va al di là degli stili, il Sacre rappresenterà il cavallo di battaglia della compagnia e diventerà uno dei lavori più importanti del loro repertorio.

I sette peccati capitali.

La svolta decisiva per lo sviluppo della sua personalissima estetica teatrale avviene nel giugno del 1976, quando accanto ad una prima retrospettiva dei lavori realizzati, ella propone una novità. Si tratta di una serata dedicata a Bertolt Brecht ed al musicista Kurt Weill, in cui presenta la sua versione coreografica di "Die sieben Todsunden" (I sette peccati capitali). Vi partecipano non solo i ballerini del Wuppertal Tanztheater, ma attori e cantanti di varia provenienza ed inoltre il pezzo è basato su di una drammaturgia vera e propria. Un'ottica più propriamente teatrale prende il sopravvento sulla scrittura specificatamente coreografica e la danza svolge una funzione inedita: non è più rappresentazione fine a se stessa ma diventa veicolo di un messaggio di emancipazione femminile. Affiorano i temi che saranno tipici dell'ideologia bauschiana, sebbene la coreografa voglia evidenziare la propria distanza da un certo tipo di femminismo. La Bausch costruisce nel corso della rappresentazione un'immagine agghiacciante di donna, che traspare dal teatro di Brecht. L'opera è divisa in due parti: la prima, intitolata proprio I sette peccati capitali, in cui denuncia la violenza a cui la donna deve soggiacere e la seconda, intitolata "Furchtet euch nicht" (Non abbiate paura) che appare più duramente provocatoria nella rappresentazione di un balletto interpretato al "femminile" da donne e travestiti. In scena compare un unico uomo, sempre colto in atteggiamenti di conquista sessuale. Egli ripete come un leit-motiv le parole della canzoncina da cui il pezzo prende il titolo. L'atteggiamento di revisione del brechtismo è palese sin dall'inizio, quando la prima parola pronunciata dall'intero corpo di ballo viene dilatata in un generale e sonoro sbadiglio. Lo spettacolo avanza in una rappresentazione del mondo femminile e tracce di violenza disseminano lo spettacolo in una immagine di estremo squallore. Con le opere precedenti la Bausch aveva pagato il suo simbolico tributo alla tradizione e si era consacrata nel mito, ma con Brecht varca il confine che la separava dalla prosa, dalla parola e si avvia verso un orientamento decisamente interdisciplinare, con una precisa volontà di invasione dei territori teatrali. Barbablu Nel 1977 crea "Blaubart" (Barbablù) basandosi su motivi dell'opera di Bartòk Il castello di Barbablù. Si tratta di un dramma psicologico, nel quale la coreografa intraprende la sua indagine sui rapporti uomo-donna, rapporti che saranno il tema centrale della sua poetica. In Blaubart lo scontro polo maschile-polo femminile è rappresentato dai due personaggi principali di Barbablù e Judith, coadiuvati dalla presenza di dodici ballerini e dodici ballerine. Essi si affrontano su di uno spazio circoscritto in cui i rapporti descritti divengono feroci, spietati. Il salone, in cui i personaggi si scontrano, diviene l'emblema di una condizione esistenziale. La prigione che l'essere umano si è costruito intorno e le barriere che ha lasciato frapporsi fra sé e gli altri, sono un ostacolo insormontabile. Infatti il finale mostra un'immagine di profonda desolazione: nel vortice di una danza feroce che li spinge a fuggire dal salone, tutti i danzatori vanno a spezzarsi nell'urto contro le pareti. Cadono al suolo privi di vita, come fantocci senza membra, bloccati nel loro anelito di fuga. L'ultima ad infrangersi ed a cadere in terra sarà Judith, la giovane moglie di Barbablù, testimone del messaggio della Bausch che considera la donna portatrice di uno slancio vitale più forte.

Il Machbet.

Gli anni Settanta si chiudono con una coreografia ispirata al Machbet, che prende infatti il suo lungo titolo dalla didascalia "la prende per mano e la conduce al castello, gli altri seguono". Lo spettacolo rappresenta una sorta di festa lugubre ambientata in un castello abbandonato, popolato da incubi e da visioni schizofreniche, in cui i personaggi si aggirano come ombre. L'opera si snoda in un succedersi di incontri basati su di un estenuante cerimoniale e l'atmosfera è gravata da un generale rimorso, un senso di colpa che rende ossessionante ogni incontro. Difficoltà dei rapporti, impossibilità di un equilibrio tra i sessi, continuo inseguimento, saranno i temi che incessantemente torneranno nel suo repertorio. Dopo lo spettacolo ispirato dalla didascalia del Machbeth inizierà un'epoca nuova nella produzione della coreografa tedesca.

Gli anni ottanta.

Negli anni ottanta non si appoggerà su alcun referente culturale e la sua originale impronta di autrice si manifesterà con degli spettacoli-fiume dove la sua poetica esploderà in un grandioso collage di tematiche, pensieri, miriadi di eventi. Insomma sfaccettature infinite di un unico discorso: l'incolmabile distanza fra gli esseri e l'infinito bisogno d'amore. L'esistenza si ripropone in un unico circoscritto universo; il palcoscenico diviene metafora del mondo così che di volta in volta si tramuterà in un prato verde, in un fiume, in una distesa di garofani. Attraverso i suoi danzatori, che in un rito esibizionistico rappresentano loro stessi, i loro reali problemi e bisogni, Pina Bausch avverte il pubblico che la vita è rappresentazione e che è possibile specchiarsi anche nella rappresentazione che gli altri fanno di loro stessi. Un perenne gioco di specchi in cui lo spettatore è costretto a mirarsi ed a riconoscersi. Quindi con gli anni ottanta esplode la poetica della Bausch e si configura anche la sua particolare metodologia di lavoro. Raimund Hoghe, drammaturgo del Wuppertal, esprime la difficoltà di spiegare il suo lavoro con la Bausch, poiché ella non si basa su di un racconto vero e proprio o su di un apparato drammaturgico inteso nel senso tradizionale. Si parla di un work in progress poiché il testo, inteso in un senso assolutamente semiotico, nasce durante le prove e spesso si trasforma anche dopo la prima rappresentazione. Il lavoro comincia con una serie di domande che la coreografa pone ai suoi ballerini. Ciò che vuole è che essi riescano a circoscrivere una sensazione ma senza dissezionarla, senza analizzarla, semplicemente lasciandosi trasportare da una sorta di flusso di coscienza che faccia riaffiorare anche le immagini più remote ed inspiegabili. La capacità registica della Bausch consiste nel saper poi selezionare le varie risposte o le vicende narrate e dare loro una forma, cioè trasporre il dato personale oltre l'ambito del privato. Quindi, seppur l'esplorazione di un tema procede secondo un metodo in progress, il risultato non è mai qualcosa di improvvisato, la regista è sempre consapevole di ciò che vuole comunicare. Ciò che rende veramente affascinante il mondo narrato dall'autrice è che ella nasconde i messaggi più importanti, operazione che procede in un "continuo conflitto tra quello che vuoi rendere chiaro e quello dietro a cui vuoi nasconderti..." come ella stessa afferma. Ma quello che importa realmente è il continuo confronto con la vita, tanto che il suo è stato definito come "Teatro dell'esperienza". Dai pezzi-frammenti di tante storie riaffiora un continuo contatto con la vita, discorso che non termina mai e che diventa caleidoscopico nell'insieme dei suoi Stück. E' questo il modo in cui vengono definite le sue opere, per evidenziare il fatto che si tratta di "pezzi" di un discorso vasto ed inesauribile.

Cafè Müller.

Dal 1978 in poi la sua poetica esplode in un collage di numeri all'apparenza "chiusi", in cui ognuno di essi è la continuazione di un discorso sulla vita e sull'esistenza umana. In "Cafè Müller" vuole trascrivere l'angoscia e la solitudine della vita in comune e tale coreografia si pone come l'ennesima (probabilmente più riuscita) variazione sul tema dell'amore e del non amore tra l'uomo e la donna. Elegia onirica in cui i protagonisti si muovono in uno stanzone grigio, ingombro di sedie, con uno specchio su un lato e delle vetrate rivolte verso la platea. Il pubblico è subitaneamente collocato in una condizione di voyeurismo. In questo ambiente si svolge un inseguimento senza respiro fra coppie: due protagonisti che avanzano come sonnambuli sulla scena, i loro doppioni che ne mimano i gesti da lontano e due mediatori che con la loro azione cercano di salvaguardare l'incedere instabile della coppia. E' uno spossante inseguimento composto e ricomposto come una ciclica unione tra spettri e dove lo spazio assume un'importanza inedita. Creatura cieca, la protagonista diviene l'immagine di una femminilità che si muove nel carcere angusto dell'esistenza ma lo fa con slancio, con ardimento; all'opposto il suo doppio, interpretato da una Bausch spettrale e desolante, rappresenta una donna che rimane al limite, ai margini della vita. Tutto il senso si basa sul concetto del limite: il limite dello spazio, angusto come lo stanzone che rappresenta una prigione esistenziale ed il limite del corpo, la sua miseria. Un corpo all'assidua ricerca di un contatto, in perenne aspirazione di un poco d'amore. Tutto avviene senza il pronunciarsi di una sola parola, sul filo delle musiche di Purcell o molto spesso nel silenzio totale e la danza diviene l'interprete di un'ossessione quotidiana, ritmica, ciclica, comunque inesorabile.

Psicologia e crudeltà.

Dello stesso anno e basato sulla medesima tematica del rapporto fra i sessi è "Kontakthof", pezzo in cui è espressa una crudeltà impietosa e dura e dove la violenza non appare solo come fisica ma si riveste di connotati psicologici. Al centro della scena una donna il cui corpo appare esanime come quello di una bambola, ma il cui volto è rigato di lacrime e sofferente. Intorno a lei venti mani di uomini che la toccano insistentemente con gesti piccoli, assillanti, ripetitivi. Non si tratta di un contatto umano, di gesti di solidarietà, ma in scena è rappresentato uno stupro di massa. Il tutto accompagnato da un motivetto anni Trenta con un effetto talmente straniante da rendere la scena insopportabile. Al termine il gruppo si allontana dalla vittima ed il cambio della colonna sonora, un tango sensuale, richiama in scena le altre donne. La protagonista, silenziosamente a capo chino, raccoglie la scarpa che aveva perduto ed esce di scena. Il contatto è avvenuto, ma è stato straziante, dilaniante, lontano da quella proposta di amore che ognuno cerca.

L'omaggio a Fellini.

Nel 1979 la Bausch compone due pezzi "dedicati" al mondo dello spettacolo, dove si avverte un richiamo al grande Fellini. Motivi felliniani irromperanno di continuo, infatti, ne "La leggenda della santità", che procede insistentemente nella proposta di inserti da music hall, richiamando nel pubblico la sensazione che lo spettacolo stia per finire ma che in realtà non sia ancora incominciato. La Bausch esercita un lavoro estenuante sulla dilatazione del tempo risentendo la forte influenza di Bob Wilson anche nella visione dello spazio, da cui escono figure fantastiche di mostri che si collocano in mezzo agli interpreti. In "Arien" affronta il mondo delle prove e del teatro. La parte centrale del palcoscenico è invasa dall'acqua, elemento che condiziona i movimenti e le azioni e sembra che la coreografa voglia introdurre la realtà in un mondo di totale finzione, proprio per accentuarne il non-sense, la stravaganza.

Un pezzo di Pina Bausch.

"1980-Ein Stück von Pina Bausch" (1980-Un pezzo di Pina Bausch) è lo spettacolo in cui si rende manifesta la presa di coscienza metodologica della coreografa sul suo lavoro. La parola Stück definisce un genere, un segno, uno stile personale di un'autrice che ha scelto di abbandonare qualsiasi referente culturale. Tutti i pezzi creati dopo 1980 confluiscono in un medesimo discorso fatto di storie individuali, vere, vissute. Esplorazioni di un mondo umano dove la psicanalisi (più volte citata da una critica in vena di etichette) non c'entra. Non c'è nulla di terapeutico nel suo lavoro, non c'è né risoluzione e né risposta razionale. La Bausch diviene uno specchio in cui le domande che vi si riflettono ritornano sottoforma di materiale espressivo. Messo al bando il movimento della danza, ella insegue delle azioni metaforiche materiali; vuole insomma utilizzare la concretezza del gesto e dei corpi per narrare la concretezza dei sentimenti e del dolore. Le azioni, i gesti, vengono distorti perché debbono necessariamente divenire ostensivi, a loro è affidato il compito di rappresentare il materiale dell'esistenza.

La coreografa e l'Italia.

La nostra analisi tralascia l'esperienza cinematografica della Bausch per dedicarsi, nella fase conclusiva, allo spettacolo ideato dopo un periodo di soggiorno in Italia: "Palermo Palermo" . Il sipario si apre su un muro che, dopo una lunga pausa di silenzio, esplode. Entrano in scena i danzatori-attori che per tutta la serata avranno i movimenti ostacolati dai calcinacci e dai mattoni caduti a terra. Quando il pezzo fu rappresentato, immediatamente si identificò la scena con la caduta del muro di Berlino. Ma l'interpretazione non è mai univoca nelle opere più recenti della Bausch: quel crollo può significare anche la caduta delle ideologie personali, o il decadimento di una società oppure, osservando col senno del poi, può essere visione profetica degli scoppi che hanno insanguinato il volto della Sicilia. Tutto ciò dimostra come difficilmente il tempo possa influire a discapito dei pezzi della coreografa tedesca. Pur essendo legati ad aspetti dell'attualità, in essi sono comunque narrate vicende che fanno parte dell'esperienza collettiva, nel segno di un teatro la cui forza è insita nella capacità di far coincidere il particolare con l'universale; perciò non importa che il pezzo sia dedicato a Palermo o a Roma o a Madrid. Sono tutte città che sul palcoscenico della grande artista tedesca diventano il mondo e costituiscono l'emblema di un'umanità che si narra attraverso Pina Bausch, attraverso i suoi ballerini, attraverso il suo teatro.